Rapporto Istat, l'Italia che cambia: dai redditi insufficienti ai mini nuclei

Crescita moderata, problemi strutturali, bassa produttività e nuove sfide della società che cambia sono al centro dell'ultimo Rapporto annuale dell'Istat presentato oggi in Parlamento
Pubblicato il 21/05/2025
Ultima modifica il 21/05/2025 alle ore 11:00
Teleborsa
Un'Italia che cresce a passo moderato e che non ha ancora risolto i suoi problemi strutturali (produttività, mercato lavoro, carenza di manodopera specializzata), mentre emergono nuove sfide legate ad una società in continuo mutamento. Un tessuto sociale multi-etnico, in cui cambiano la composizione ed i legami della famiglia, ma anche le condizioni economiche, che diventano più precarie. E' la fotografia scattata dal Rapporto 2025 dell'Istat, presentato dal Presidente Francesco Maria Chelli a Montecitorio.

L'economia italiana cresce lentamente

Nel 2024 l’economia italiana ha continuato a crescere a un ritmo moderato (PIL a +0,7%), inferiore rispetto alla Francia (+1,2%) e soprattutto alla Spagna (+3,2%), mentre la Germania (-0,2%) è in recessione per il secondo anno di seguito. Una bassa crescita che si inserisce in un contesto internazionale più sfidante: nel 2024 il Pil mondiale è cresciuto del 3,3% (3,5% nel 2023) e il commercio mondiale di beni e servizi in volume è aumentato del 3,8% (1% nel 2023).

I primi mesi del 2025 sono stati caratterizzati da forte incertezza sulle prospettive a breve, soprattutto per i rischi circa l’evoluzione degli scambi associati alle decisioni di politica commerciale degli Stati uniti. Le previsioni di aprile del Fondo monetario internazionale (Fmi) per il 2025 sono, al momento, di una riduzione di circa mezzo punto percentuale della crescita mondiale, particolarmente accentuata per Stati Uniti e Cina, e di minore entità per le grandi economie europee.

L’occupazione ha continuato a espandersi (+1,5% nel 2024 o +352mila unità), , trainata dall’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato, ed è stato conseguito un parziale recupero nel potere d’acquisto dei salari. ? Nel 2024 le retribuzioni nominali sono cresciute più dell’inflazione, consentendo un parziale recupero della perdita di potere di acquisto del biennio 2021-2022. Alla fine del 2024 la crescita delle retribuzioni contrattuali per dipendente è stata pari al 10,1% rispetto all’inizio del 2019, a fronte di un aumento dell’inflazione (IPCA) pari al 21,6%. Nei primi mesi del 2025 la crescita delle retribuzioni contrattuali è rimasta robusta.
Tuttavia, l’aumento dell’occupazione, anche per la sua composizione settoriale, si è tradotto in una riduzione della produttività del lavoro (-0,9%).

È proseguito il rientro dall’inflazione, riflettendo il forte calo nelle quotazioni dell’energia, la cui crescita ne era stata all’origine. L’inflazione al consumo si è mantenuta più bassa che nelle altre maggiori economie europee, tornando però a salire nei primi mesi del 2025.

Nell’anno appena trascorso sono migliorati in misura consistente i saldi del bilancio pubblico, soprattutto grazie alla riduzione degli oneri del superbonus. L’indebitamento netto in rapporto al Pil è sceso dal 7,2 al 3,4 per cento. Il saldo primario (al netto della spesa per interessi) è migliorato di quattro punti e tornato in avanzo (+0,4 per cento del Pil) dopo quattro anni. Il debito pubblico, invece, è cresciuto lievemente, (al 135,3% del Pil, in crescita di 7 decimi rispetto al 2023) per effetto della ridotta crescita del Pil nominale e dell’aumento della spesa per interessi.

Nell’ultimo decennio la crescita dell’economia ha risentito sia di condizioni macroeconomiche in prevalenza sfavorevoli, sia di caratteristiche del sistema produttivo associate all’efficienza e all’incremento della produttività che ne hanno frenato l’espansione, quali le ridotte dimensioni d’impresa, la specializzazione, il contenuto innovativo relativamente modesto delle produzioni. Negli anni più recenti lo sviluppo delle attività ad alta tecnologia ha contribuito a mitigare questi effetti. Tuttavia, l’Italia continua a scontare un ritardo nella dotazione di capitale umano qualificato, che si riflette anche in una minor capacità di adozione delle tecnologie digitali che richiedono competenze specializzate.

Una società in trasformazione

La dinamica demografica e sociale dell’Italia continua a riflettere trasformazioni profonde, che attraversano generazioni, territori e gruppi sociali. La popolazione residente è in costante calo (al 1° gennaio 2025 era 58,934 milioni di individui pari a -0,6% sul 2024), spinta da una dinamica naturale fortemente negativa, solo parzialmente compensata da un saldo migratorio positivo (+244mila unità).

Le famiglie diventano sempre più piccole: cresce il numero dei single ed aumentano le libere unioni, le famiglie monogenitore e quelle ricostituite, mentre si riduce la presenza dei nuclei familiari con figli.

Sul fronte dell’istruzione si registra un miglioramento dei livelli medi, ma persistono ampi divari rispetto alla media dell’UE27. ? L’abbandono scolastico precoce, seppur in calo, rimane una criticità. Nel 2024, il 9,8% dei giovani tra 18 e 24 anni lascia il sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un titolo secondario superiore. In particolare, le competenze digitali, sempre più centrali nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana, mostrano livelli ancora insufficienti soprattutto se confrontati con l’obiettivo fissato dal programma strategico UE per il decennio digitale. Nel 2023 solo il 45,8 per cento degli italiani tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali almeno di base, contro una media UE27 del 55,5 per cento e obiettivi europei che puntano all’80 per cento entro il 2030.

Nel mercato del lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto il massimo storico, l’Italia presenta ancora tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità. Le condizioni economiche delle famiglie restano fragili. La povertà assoluta è stabile rispetto all’anno precedente: nel 2024 oltre un quinto della popolazione pari al 23,1% è a rischio di povertà o esclusione sociale, sostanzialmente stabile rispetto al 2023, ma in aumento nel confronto con il 2014. Il Mezzogiorno resta l’area più esposta al rischio di esclusione sociale.

Anche tra chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica con l’aumento delle persone i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato. Nel 2023, il 21% dei lavoratori risulta essere a rischio di lavoro a basso reddito. Tale rischio è più elevato tra le donne (26,6 per cento rispetto al 16,8 per cento degli uomini), i giovani in età inferiore a 35 anni (29,5 per cento contro il 17,7 nella classe 55-64 anni) e i cittadini stranieri (35,2 per cento contro 19,3 degli italiani).

Sebbene aumenti la speranza di vita alla nascita, la quota di anni vissuti in buona salute si riduce, soprattutto per le donne (59,8 anni in media gli uomini 56,6 anni le donne) e nel Mezzogiorno. La rinuncia alle prestazioni sanitarie è una piaga che va crescendo, in particolare a causa delle lunghe liste di attesa o per motivi economici. Nel 2024 circa una persona su 10 (9,9%) ha rinunciato a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa (6,8%) e per le difficoltà nel pagare le prestazioni sanitarie (5,3%). Il disagio psicologico cresce, soprattutto tra giovani e anziani, e le condizioni di salute soggettive dichiarate dalle persone con disabilità restano critiche. Per loro la prevalenza di malattie croniche è molto elevata, colpendo in particolare gli anziani, con un impatto più marcato sulle donne.

Una società per tutte le età

L’aumento straordinario della sopravvivenza ha trasformato radicalmente la struttura della popolazione italiana, dando origine a una società in cui oggi convivono più a lungo diverse generazioni. I loro percorsi di vita hanno contribuito a ridefinire il contesto demografico, sociale ed economico del Paese.

Da segnalare il cambiamento profondo dell'ingresso nella vita adulta: l’uscita dalla famiglia avviene sempre più spesso per andare a convivere; il matrimonio e la genitorialità sono posticipati, o talvolta evitati del tutto; crescono le unioni libere e le famiglie ricostituite. La crescente instabilità coniugale completa il quadro di una transizione demografica in cui i legami familiari si ridefiniscono nel tempo.

Nel 2023 la quota di persone di 65 anni e più sul totale della popolazione è del 21,6% per gli uomini e del 26,3% per le donne. La soglia dei 65 anni per definire gli anziani appare sempre più anacronistica perché, grazie al miglioramento delle condizioni di vita, le persone che oggi hanno 65 anni possono contare ancora su numerosi anni in condizioni di relativa buona salute, attività e partecipazione sociale.

Per comprendere le esigenze di una popolazione che invecchia ma che, al contempo, chiede nuove opportunità, è indispensabile adottare il punto di vista generazionale. L’allungamento della vita in buona salute, gli stili di vita più salutari – sana alimentazione, pratica di attività fisica, evitare di fumare o di eccedere nel consumo di bevande alcoliche – e il maggiore livello di istruzione hanno ampliato gli orizzonti delle generazioni, ma anche introdotto nuove sfide e disuguaglianze: vivere a lungo non è uguale ovunque, né per tutti. Se da un lato aumentano gli anni vissuti in autonomia, dall’altro persistono forti divari territoriali e socioeconomici. I cambiamenti strutturali della popolazione sono eterogenei nel territorio non soltanto tra il Centro-nord e il Mezzogiorno, ma anche tra aree periferiche e centrali. Gli squilibri tra generazioni nei territori vengono quindi suddivisi anche fra Aree Interne (a scarso accesso ai servizi essenziali riguardanti salute, scuola, mobilità) e Centri (con infrastrutture che garantiscono tali servizi essenziali), evidenziano le specificità locali. Le Aree Interne, dove vive il 22,7 per cento della popolazione, sono caratterizzate da un importante decremento demografico (-4,6 per cento) e da un accentuato invecchiamento della popolazione.

Il mercato del lavoro in cambiamento


L’Italia, in particolare dopo il Duemila, è stata caratterizzata da una crescita economica contenuta e da una dinamica molto debole della produttività. Questi fattori si sono riflessi sull’andamento dei redditi e hanno limitato le prospettive di realizzazione professionale a confronto sia con l’esperienza storica, sia con le altre maggiori economie europee.

Tra il 2000 e il 2024 l’occupazione è aumentata in misura analoga a Francia e Germania, ma trainata da settori dei servizi a ridotta produttività e alta intensità di lavoro. Il peso delle professioni qualificate nell’occupazione è cresciuto (fra il 2000 e il 2024 l’occupazione in professioni qualificate è passata da un quarto a un terzo del totale), anche se in misura minore rispetto alle altre grandi economie europee, e negli anni più recenti è aumentato il peso e l’importanza delle professioni ICT (dal 3,5% del totale nel 2019 al 4,1% nel 2023), fondamentali per la competitività.

Dal lato dell’offerta, le generazioni che si sono affacciate sul mercato del lavoro sono decisamente più istruite di quelle che le hanno precedute ed è aumentata in misura altrettanto notevole la partecipazione femminile. Tra il 1992 e il 2023, la quota di laureati tra i 25-34enni è salita dal 7,2 al 30,6 per cento (al 37,1 per cento tra le donne).

Per la perdita sostanziale di potere d’acquisto associata all’inflazione nel 2021-2022, il reddito medio da lavoro per occupato nel 2024 risulta inferiore rispetto al 2004. Nello stesso periodo, l’aumento della partecipazione al lavoro, la riduzione della dimensione delle famiglie (meno figli) e la maggiore diffusione della proprietà della casa d’abitazione hanno più che compensato tale riduzione in termini di reddito familiare equivalente (fra 2004 e 2024 il reddito familiare equivalente è aumentato del 6,3%). Considerando il periodo tra il 2011 e il 2022 sono invece cresciuti sia la quota di adulti con redditi da lavoro, sia il reddito mediano reale.

Le disuguaglianze territoriali restano forti, con incrementi ampi di occupazione nelle grandi città metropolitane del Centro-nord (+6,3% fra il 2011 ed il 2022), dove anche la popolazione ha continuato ad aumentare, e minori o negativi in parte del Mezzogiorno (-6,1%) e alcune aree del Centro-nord in declino industriale (-1,7 per cento).

L’istruzione continua a garantire un premio salariale, crescente nell’arco della vita lavorativa, ma la mobilità sociale è complessa, e condizionata dalle caratteristiche della famiglia d’origine, a partire dal livello e dal tipo di istruzione conseguito.

Infine, l’invecchiamento della forza lavoro e il rafforzamento del capitale umano hanno inciso in modo differenziato sul sistema produttivo. Le imprese con giovani qualificati hanno maggior successo economico, mentre il ricambio generazionale costituisce un problema per quelle più piccole e meno efficienti.