L’intelligenza artificiale sta trasformando profondamente il mondo del lavoro, automatizzando attività, analizzando dati in tempo reale e supportando le decisioni strategiche. Eppure, in Italia l’adozione di queste tecnologie resta ancora limitata. Secondo l’ISTAT, solo l’8% delle imprese italiane utilizza sistemi di AI
, un dato ben al di sotto della media europea. Paesi come Germania e Francia sono già oltre il 20%, mentre persino la Spagna supera l’Italia in termini di utilizzo e investimenti. La causa non è solo economica: spesso manca la consapevolezza di quanto queste soluzioni possano migliorare l’efficienza, ridurre i costi e aumentare la competitività anche nelle
piccole e medie imprese.
“L’intelligenza artificiale non è una tecnologia per pochi: oggi è accessibile, scalabile e adattabile a qualsiasi settore produttivo. Ma in Italia c’è ancora un blocco culturale prima che tecnologico”, osserva
Antonio Testa, CEO di Generazione AI, azienda italiana attiva nello sviluppo di soluzioni intelligenti per l’automazione dei processi aziendali. “Il problema non è la mancanza di strumenti, ma la difficoltà nel riconoscere il valore strategico dell’automazione”.
Il mercato italiano dell’AI ha comunque mostrato segnali incoraggianti: nel 2023 ha superato i 760 milioni di euro, con una crescita del 52% sull’anno precedente (secondo l'Osservatorio Artificial Intelligence – Politecnico di Milano). Il Nord Italia guida questa trasformazione: Milano è ormai il principale polo tecnologico del Paese, seguita da Bologna, Torino e Roma. Qui si concentrano startup, centri di ricerca e investimenti pubblici. Anche il Sud sta iniziando a colmare il divario: la Campania, ad esempio, ha superato la media UE per investimenti digitali, grazie anche al sostegno del PNRR.
Tuttavia, restano forti differenze tra territori, sia in termini di competenze digitali che di infrastrutture. Secondo una recente analisi di Unioncamere – Anpal, in Italia mancano circa 362.000 lavoratori con skill digitali avanzate, indispensabili per gestire soluzioni come AI, cloud, big data e automazione industriale (Fonte: Excelsior 2024). Inoltre, ben il 43% dei lavoratori italiani identifica la formazione sull’intelligenza artificiale come priorità assoluta per affrontare la trasformazione tecnologica in corso (Fonte: Microsoft – Work Trend Index 2024).
Un altro segnale interessante arriva dalle abitudini quotidiane: nel 2025, il 68% dei lavoratori italiani utilizza regolarmente strumenti di AI generativa durante la settimana lavorativa, ma oltre un terzo (36%) teme ancora che queste tecnologie possano sostituirli sul lavoro (Boston Consulting Group). Dato che conferma l'urgenza di affrontare il cambiamento non solo dal punto di vista tecnico, ma anche culturale e formativo. In questo scenario, emergendo soluzioni AI pensate per adattarsi a realtà anche molto diverse tra loro come, ad esempio, gli “agenti intelligenti” capaci di integrarsi nei flussi operativi esistenti.
“Abbiamo sviluppato due approcci distinti: da un lato i ‘Private Agent’, progettati su misura per le esigenze specifiche di ogni azienda, capaci di operare all’interno dei sistemi interni senza esporre i dati; dall’altro i ‘General Agent’, soluzioni già pronte, ottimizzate per compiti comuni come la gestione dei lead, l’assistenza tecnica, la compilazione di documenti o il monitoraggio dei social
media”, spiega Testa.
La differenza tra le due soluzioni sta nella personalizzazione e nel grado di riservatezza. I ‘Private Agent’ sono ideali per aziende con processi unici o che trattano dati riservati. I ‘General Agent’, invece, permettono di partire rapidamente con strumenti già testati e adattabili in tempi brevi, rendendo l’AI accessibile anche a chi ha meno risorse o meno tempo.
“Con un agente AI, un’azienda può ridurre del 90% il tempo dedicato a compiti ripetitivi, azzerare gli errori manuali e migliorare in modo significativo la qualità del servizio offerto”, continua Testa.
Il nodo cruciale, però, resta la visione imprenditoriale. L’AI non è una moda, ma una trasformazione strutturale. Non adottarla significa rimanere indietro rispetto ai competitor che già oggi automatizzano processi e migliorano le proprie performance. “Ogni giorno di ritardo è un vantaggio che si concede alla concorrenza”, conclude Testa. “Il futuro del lavoro non è solo una questione di tecnologie,