Le
obbligazioni green, anche detti
green bond, sono titoli di debito in tutto simili a quelli tradizionali, con una clausola differenziale di riferimento: i proventi finanziano esclusivamente progetti con benefici ambientali misurabili (energia rinnovabile, efficienza energetica, trasporti a basse emissioni, gestione idrica e rifiuti, edilizia sostenibile, biodiversità).
Obbligazioni green in breve (e in tabella)
TEMA | IN BREVE | COSA TENERE A MENTE |
Cos’è un green bond | Un’obbligazione normale i cui proventi finanziano solo progetti ambientali misurabili | Stesse logiche di cedola, scadenza e rischio dell’emittente |
Come funziona | L’emittente definisce progetti eleggibili, tiene i fondi separati e tracciati e pubblica report su allocazione e impatti ambientali | Due documenti chiave: rendiconto di allocazione e relazione di impatto (ambientale) |
Etichetta UE | Bollino volontario europeo: progetti allineati alla Tassonomia, regola DNSH e tutele minime, documenti standard e verifica esterna | Più comparabilità tra emittenti: ammessa flessibilità fino al 15% per attività non ancora coperte in dettaglio |
Varianti ESG | Green: ambientale Social: sociale; Sustainability: mix; SLB: contano gli obiettivi aziendali (se non centrati, può salire la cedola) | Con gli SLB importa meno dove vanno i soldi e più se gli obiettivi vengono raggiunti |
Per chi sono (emittenti) | Stati, enti pubblici, banche, imprese che finanziano transizione e progetti green | Accesso a investitori dedicati: possibile (non garantito) piccolo vantaggio di prezzo se domanda e qualità informativa sono elevate |
Per chi sono (investitori) | Istituzionali e risparmiatori evoluti che vogliono un bond tradizionale con uso dei fondi trasparente | Si collegano i capitali a risultati ambientali misurabili senza cambiare la logica del portafoglio |
Perché convengono | Lato emittente: più pubblico, dati interni più ordinati, narrazione chiara. Lato investitore: trasparenza, tracciabilità, indicatori d’impatto | Non solo finanza, aiuta a organizzare la transizione e a comunicarla meglio |
Rischi principali | Oltre ai rischi di un bond classico ci sono anche altri elementi come greenwashing, errori su Tassonomia o DNSH e contesto di mercato | Le regole aiutano di certo, ma serve sempre e comunque una lettura critica dei documenti |
Cosa sono le obbligazioni green e caratteristiche
Le obbligazioni green sono titoli di debito che funzionano come qualsiasi altra obbligazione per cedole e rimborso, con una differenza sostanziale: il capitale raccolto viene vincolato a progetti con benefici ambientali.
L’emittente specifica in anticipo quali iniziative saranno finanziate, come ad esempio impianti da fonti rinnovabili, interventi di efficienza energetica, gestione sostenibile dell’acqua e dei rifiuti, mobilità a basse emissioni o edilizia a ridotto impatto. Lo strumento è pensato per investitori che desiderano un’esposizione obbligazionaria tradizionale, ma con un utilizzo dei proventi orientato alla transizione ecologica.
Dal punto di vista finanziario, un green bond paga cedole e rimborsa a scadenza come qualunque obbligazione, abbiamo detto. La differenza è nell’uso dei proventi: l’emittente li destina a progetti “verdi” predefiniti, selezionati e monitorati con criteri trasparenti, e rendiconta periodicamente l’allocazione e gli impatti ambientali.
Queste buone pratiche sono descritte nei
Green Bond Principles (GBP) dell’
ICMA, linee guida internazionali volontarie aggiornate annualmente, che strutturano il mercato e riducono il rischio di greenwashing, ovvero quel tipo di comunicazione ingannevole che fa sembrare green prodotti, servizi o aziende che non sono realmente sostenibili.
Con questi principi, prima dell’emissione, l’emittente pubblica una scheda informativa che spiega:
- Categorie eleggibili: quali progetti green verranno finanziati, le categorie ammissibili e gli utilizzi esclusi.
- Criteri di selezione: criteri tecnici e di eleggibilità, soglie minime e controlli di rischio.
- Modalità di gestione dei proventi: ovvero, come i fondi raccolti vengono tracciati (conti dedicati o portafogli separati) e come sono investiti temporaneamente finché non allocati.
- Reporting: rendiconti regolari, che indicano se e come queste informazioni sono verificate da soggetti indipendenti. Infatti, dopo l’emissione arrivano due report distinti:
- Rendiconto di allocazione dei proventi: quanto è stato allocato, dove, con tempi e saldo ancora da allocare;
- Relazione di impatto ambientale: indicatori ambientali, metodo di calcolo, perimetro e limiti.
Green bond europei: cosa sono e come funzionano
In Europa si può “alzare l’asticella” usando l’etichetta volontaria
European Green Bond (EuGB). Con questa etichetta l’emittente dimostra che ciò che finanzia:
- Rientra nelle attività considerate sostenibili dall’UE (Tassonomia);
- Che i progetti non danneggiano altri obiettivi ambientali;
- Che sono rispettate alcune tutele minime.
L’emittente presenta quindi una scheda chiara su come userà i soldi e su come misurerà i risultati e dopo l’emissione pubblica rapporti ordinati e confrontabili con quelli di altri emittenti.
Il vantaggio è rappresentato proprio dalla
comparabilità: chi investe legge documenti strutturati nello stesso modo e capisce subito cosa si finanzia, come si calcolano gli impatti e chi ha controllato i dati. È prevista una piccola quota di flessibilità per aree ancora non dettagliate dalla Tassonomia, ma dev’essere dichiarata e spiegata senza ambiguità: infatti, fino al 15% dei proventi può andare ad attività non ancora coperte da criteri tecnici dettagliati della Tassonomia, purché rispettino obiettivi, DNSH e salvaguardie.
In pratica, l’emittente “mappa” le spese che intende finanziare contro i criteri UE. Dichiara quanta parte va a nuovi progetti e quanta serve a rifinanziare spese già fatte entro un periodo passato definito, così chi investe sa se sta abilitando nuove iniziative o consolidando interventi recenti.
Finché i fondi non sono interamente assegnati, restano su
conti o portafogli dedicati e vengono riconciliati periodicamente. L’obiettivo è permettere a chi legge i report di ricostruire il percorso completo: dalla raccolta al conto dedicato, dal progetto idoneo fino al risultato misurato.
Facciamo un esempio semplice per capire meglio: un’emissione finanzia un parco fotovoltaico e la riqualificazione energetica di alcuni edifici. I proventi vengono tracciati separatamente, l’allocazione è aggiornata man mano e, a fine anno, si indicano l’energia prodotta e il risparmio ottenuto.
Il
"terzo indipendente" controlla principalmente tre aspetti:
- Che le spese dichiarate siano davvero dentro il perimetro promesso;
- Che il processo (governance interna, controlli, tracciabilità dei fondi) sia solido;
- Che i numeri siano supportati da metodi trasparenti.
In ambito europeo, questi verificatori devono essere
registrati e vigilati: serve a evitare conflitti di interesse e a distinguere chiaramente tra giudizi qualitativi e dati sottoposti a verifica. Per l’investitore, sapere chi ha controllato che cosa è tanto importante quanto il dato in sé.
Gli
indicatori devono avere senso rispetto al progetto e poter essere replicati nel tempo. Ecco alcuni esempi di indicatori:
- Energia rinnovabile prodotta (MWh);
- Emissioni evitate di CO2 (tonnellate);
- Risparmio energetico (MWh);
- Acqua risparmiata o trattata (metri cubi);
- Rifiuti riciclati (tonnellate).
Un buon report spiega da dove parte la misurazione (la
baseline), qual è il perimetro considerato (singolo impianto, portafoglio, Paese), quali
fattori sono usati per i calcoli e quali
limiti hanno le stime (spesso si parte con stime ex-ante e si aggiorna ex-post).
Capire le obbligazioni green e i social bond (con esempi di progetto)
All’interno della finanza sostenibile esistono obbligazioni con finalità diverse.
I
green bond, come abbiamo visto, vincolano i proventi a progetti ambientali e centrano la loro credibilità sul perimetro delle iniziative finanziate e sul relativo reporting.
Un esempio recente di green bond è il
collocamento da 800 milioni di euro del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, destinato a finanziare l’acquisto e la manutenzione di treni elettrici e il potenziamento della rete ad alta velocità Torino-Milano-Napoli.
Emesso il
18 giugno 2025, con scadenza
2032, cedola al
3,375% e rendimento fissato a 105 punti base sopra il tasso di riferimento, ha raccolto una domanda che è stata 2,3 volte superiore all’offerta, con circa il 90% degli ordini provenienti da investitori ESG internazionali.
I
social bond, invece, applicano la stessa logica a obiettivi sociali, come sanità, istruzione, inclusione o occupazione: anche qui la sostenibilità è legata ai progetti e alla rendicontazione dedicata.
Un caso recente è quello di
Banco BPM, che il
14 gennaio 2025 ha collocato un
Social Bond da 500 milioni di euro con durata quinquennale e cedola fissa al 3,375%. L’operazione, riservata a investitori istituzionali, ha registrato richieste per oltre 2,4 miliardi, con circa la metà degli ordini provenienti da soggetti con forte orientamento ESG.
I proventi finanzieranno il rifinanziamento di prestiti concessi a piccole e medie imprese localizzate in aree economicamente svantaggiate, in linea con il Social Bond Framework della banca. Si è trattato del
primo social bond italiano del 2025, che ha portato il totale delle emissioni ESG di Banco BPM a oltre 6 miliardi di euro.
Poi ci sono i
sustainability bond, che combinano nello stesso strumento finalità ambientali e sociali, quando il programma di spesa include entrambe le dimensioni.
Un esempio concreto arriva dall’
Australia, dove nel giugno 2024 la South Australian Government Financing Authority
(SAFA) ha collocato un
sustainability bond da 1,5 miliardi di dollari australiani con
scadenza al 2031 e
cedola del 4,5%.I proventi sono destinati a finanziare o rifinanziare spese sia ambientali che sociali, in base al Sustainability Bond Framework dell’emittente. Tra gli interventi inclusi figurano infrastrutture idriche e impianti di desalinizzazione, programmi di edilizia residenziale sociale, scuole pubbliche e ospedali.
Diverso è il caso dei
sustainability-linked bond (SLB). Qui la sostenibilità non dipende dalla destinazione dei proventi, ma dall’impegno dell’emittente a migliorare le proprie performance lungo indicatori misurabili entro traguardi temporali definiti. Se i target non vengono raggiunti, la struttura del titolo prevede in genere meccanismi economici di penalità, spesso sotto forma di aumento della cedola. Con gli SLB conta meno dove finiscono i soldi e più se l’emittente raggiunge gli obiettivi fissati.
Un esempio di progetto nel 2025 è quello di
Aeroporti di Roma, che ha collocato un
Sustainability-Linked Bond da 750 milioni di euro, con durata di circa sette anni e cedola fissa al 3,625%. L’operazione ha visto una domanda tripla rispetto all’offerta, con oltre l’85% degli ordini provenienti da investitori esteri specializzati in finanza sostenibile.
Il titolo lega il costo del debito al raggiungimento di obiettivi misurabili, come
l’azzeramento al 2030 delle emissioni dirette (Scope 1 e 2) e
la riduzione del 18,9% delle emissioni per passeggero legate al traffico aereo (Scope 3). In caso di mancato raggiungimento dei target, sono previsti incrementi della cedola nelle ultime annualità.
Strumenti obbligazionari ESG: tabella di riepilogo
STRUMENTO | SCOPO | VINCOLO DEI FONDI | VANTAGGIO | RISCHIO |
Green bond | Ambientale | Sì: solo progetti “verdi” | Tracciabilità chiara dell’uso dei proventi | Greenwashing se perimetro o criteri deboli, serve un reporting solido |
Social bond | Sociale | Sì: solo progetti sociali | Impatti sociali misurati e dedicati | Misurabilità talvolta qualitativa e rischio di attribuzione degli impatti |
Sustainability bond | Ambientale + Sociale | Sì: mix di progetti | Copre programmi multi-obiettivo con un’unica emissione | Rischio dispersione e reporting più complesso |
Sustainability-Linked Bond (SLB) | Performance dell’emittente | No: conta il raggiungimento dei target | Allinea incentivi: gli obiettivi equivalgono alle condizioni economiche | Indicatori poco ambiziosi svuotano lo strumento: possibile penalità se non si raggiungono gli obiettivi |
A chi convengono i green bond e perché: emittenti e investitori
Dopo aver chiarito
cos’è un green bond e come si struttura, viene naturale chiedersi chi li usa e per quale scopo.
Dal lato di chi emette, lo strumento è adatto a soggetti molto diversi tra loro:
- Stati, regioni e comuni che devono finanziare opere pubbliche sostenibili;
- Enti sovranazionali che sostengono programmi ambientali in più paesi;
- Imprese industriali che investono in impianti rinnovabili o in efficienza energetica;
- Banche che vogliono raccogliere capitali per erogare mutui o prestiti “verdi”.
- In tutti questi casi, il bond permette di legare in modo trasparente la raccolta di denaro a un insieme preciso di progetti, con regole di selezione e rendicontazione già definite. Questo rende più semplice spiegare al mercato dove andranno i fondi, come saranno monitorati e con quali risultati attesi.
Dal lato di chi acquista, i green bond parlano sia agli
investitori istituzionali (fondi, assicurazioni, casse) sia ai
risparmiatori più strutturati.
Il profilo finanziario resta quello di un’obbligazione “normale” dello stesso emittente: cedole, scadenze e rischio di credito non cambiano per il solo fatto che il titolo sia “green”. Cambia la qualità dell’informazione:
chi compra ha maggiore visibilità sull’uso dei proventi e può collegare l’investimento a risultati ambientali misurabili, senza complicare la gestione del portafoglio.
Perché convengono a chi li emette
Il primo beneficio è di mercato: un’emissione ben costruita apre l’accesso a investitori specializzati che cercano attivamente strumenti allineati a criteri ambientali. In presenza di domanda ampia e documentazione solida e credibile, questo può talvolta tradursi in
collocamenti più agevoli e, in alcuni casi, in
condizioni economiche leggermente migliori rispetto a un’obbligazione tradizionale dello stesso emittente. Non è comunque una cosa garantita: dipende sempre da fattori come mercato, rating e liquidità.
C’è poi un vantaggio molto pratico spesso sottovalutato: per emettere un green bond bisogna scegliere i progetti, tracciare i soldi e misurare i risultati e questo costringe l’organizzazione a mettere ordine nei dati su energia, emissioni e investimenti.
Perché convengono a chi investe
Per l’investitore, il valore sta nella
combinazione tra familiarità e trasparenza. La familiarità è data dalla natura obbligazionaria: si ragiona su rating, durata, cedola e spread come sempre. La trasparenza è nel vincolo d’uso dei proventi e nel reporting: a consuntivo si può verificare quanto è stato allocato, su quali progetti e con quali effetti ambientali stimati o misurati. Questo aiuta a evitare ambiguità (“Dove va il mio capitale?”) e permette di integrare obiettivi ambientali senza stravolgere la strategia d’investimento.
Per chi guarda al
lungo periodo, la struttura dei green bond offre un ulteriore vantaggio pratico: consente di
finanziare la transizione con passi misurabili. Se si investe in un titolo che sostiene, ad esempio, un nuovo parco eolico o la riqualificazione energetica di edifici pubblici, i
risultati si possono seguire nel tempo con indicatori ricorrenti.
Obbligazioni green: quali sono i rischi rispetto ai bond classici
I green bond nascondono rischi comuni con quelli di qualunque obbligazione, come ad esempio il
tasso (se sale, il prezzo scende), il
credito (se l’emittente peggiora, lo sconto aumenta), la
liquidità (si potrebbe faticare a rivendere) e il
cambio (se il titolo non è in euro).
A questi bisogna aggiungere alcuni rischi “di contenuto”:
- Greenwashing: sulla carta tutto sembra verde, ma i progetti sono descritti in modo vago, gli impatti sono ottimistici o poco dimostrabili. Le regole europee e le verifiche esterne aiutano, ma non sostituiscono la lettura attenta dei documenti.
- Tassonomia UE e regole “Do No Significant Harm”: i progetti devono rispettare criteri tecnici e non fare danni ad altri obiettivi ambientali. Se questi requisiti sono interpretati “alla leggera”, si rischia di chiamare “verde” ciò che non lo è davvero.
- Rischio di contesto: la convenienza a emettere (o comprare) titoli “verdi” può cambiare con politica, ciclo dei tassi, liquidità e preferenze del mercato. I volumi di nuove emissioni non sono sempre in crescita, ma dipendono dal momento.
Quindi, alla fine, come valutare le obbligazioni green in pratica? Bisogna sempre partire dai documenti dell’emittente, che rappresentano il manuale d’uso del bond.
- Controllare cosa si finanzia, come si scelgono i progetti e come si tengono separati e tracciati i soldi finché non vengono spesi.
- Verificare se c’è una revisione indipendente (chi l’ha fatta, con quale metodo) e se sono previsti report regolari, uno su quanto è stato allocato e uno su che risultati ambientali sono stati ottenuti, con le formule usate per calcolare gli indicatori.
- Se l’emissione mira al mercato europeo, bisogna guardare all’allineamento alla Tassonomia UE: è spiegato? Sono citate le soglie tecniche e le tutele minime?
Poi, bisogna fare i conti dell’obbligazione, e quindi:
- Rating dell’emittente;
- Durata (sensibilità ai tassi);
- Cedola/Rendimento;
- Liquidità attesa in secondario;
- Confronto con un titolo non etichettato della stessa azienda/Stato (può essere utile per capire se si sta pagando o incassando un “premio verde”).
Concludendo, i green bond funzionano bene quando tre cose sono vere:
- Il perimetro è chiaro (si capisce cosa si finanzia);
- I numeri sono verificabili (gli impatti sono misurati con metodo);
- I soldi sono tracciati (conti dedicati, riconciliazioni).
In questo modo, chi emette finanzia la transizione in modo ordinato e chi investe sostiene progetti ambientali mantenendo la stessa logica rischio/rendimento di un normale bond.