Dipende dalla gravità dei fatti, dai casi specifici e dalla forza economica dell'azienda: è
dunque incostituzionale il tetto di sei mensilità imposto all'indennità risarcitoria nelle piccole imprese in caso di licenziamenti illegittimi. Così, in sintesi, a distanza di poco più di un
mese dall'esito dei referendum sul lavoro, una sentenza della Corte Costituzionale rimette al centro del dibattito p uno dei quesiti referendari proposti dalla Cgil ed uno dei nodi più divisivi di quel Jobs act che nel 2015 ha rivoluzionato molte parti dello Statuto dei lavoratori auspicando un intervento legislativo in merito.
La norma oggetto della sentenza è quella contenuta in quel comma del Jobs act che stabilisce che l'ammontare delle indennità risarcitorie
"non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità" dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio quando viene licenziato illegittimamente un lavoratore in un'azienda che non ne occupi più di quindici presso un'unità produttiva o in un Comune e complessivamente non più di sessanta dipendenti.
Secondo la Corte però
"l'imposizione di un simile limite massimo, fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento" e il dimezzamento degli importi previsti da altri commi della norma "fa sì che l'ammontare dell'indennità sia circoscritto entro una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato, né da assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro".
La sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il limite massimo di sei mensilità per l’indennizzo nei casi di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese introduce un importante principio di tutela individuale, ma corre il rischio di produrre gravi conseguenze sull’equilibrio e sulla tenuta economica e occupazionale del sistema produttivo italiano. È quanto sostiene
Unimpresa, secondo cui l’impatto potenziale è ampio e profondo:un’azienda con quattro dipendenti e un fatturato di 250.000 euro annui, se condannata a pagare una indennità non più contenuta nel limite di sei mensilità, potrebbe trovarsi a versare 12-18 mensilità di retribuzione (in media 30.000–40.000 euro) a fronte di un solo rapporto di lavoro, con la concreta possibilità di dover ricorrere a indebitamento, dismissioni o cessazione dell’attività. in Italia operano oltre 4,1 milioni di microimprese (ossia aziende con meno di 10 dipendenti), pari al 94,8% del totale delle imprese attive. Queste aziende impiegano circa 7,7 milioni di lavoratori, vale a dire il 45% degli occupati del settore privato. La stragrande maggioranza opera con margini operativi ridottissimi, spesso inferiori al 5% del fatturato annuo, e con una liquidità che consente, mediamente, non più di tre mesi di sopravvivenza in caso di blocco o crisi di cassa. In questo contesto, l’eliminazione di un tetto predeterminato alle indennità da licenziamento illegittimo – per quanto motivata da esigenze di tutela costituzionale del lavoratore – rischia di introdurre un fattore di incertezza giuridica ed economica enorme, aggravando una situazione già fragile. Le imprese con meno di 15 dipendenti sono anche quelle che meno ricorrono alla consulenza giuslavoristica strutturata e che più frequentemente subiscono sanzioni per vizi di forma, anche non sostanziali, nei procedimenti di licenziamento. In assenza di un limite certo all’esposizione economica, ogni licenziament
o rischia di tradursi in una causa civile lunga, costosa e dagli esiti imprevedibili, con un effetto deterrente generalizzato sull’occupazione."Una giurisprudenza che non tiene conto delle condizioni strutturali delle imprese
rischia di trasformarsi in un boomerang per l’intero mondo del lavoro. È giusto tutelare i lavoratori in caso di abusi, ma serve proporzionalità", chiosa Unimpresa.