Tra le misure ipotizzate nella prossima legge di bilancio c'è "un intervento che, se confermato,
rischia di colpire proprio il cuore del sistema di investimento italiano: il vincolo del 10% di partecipazione minima per accedere alla
partecipation exemption (PEX) sui dividendi da partecipazioni iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie(dividendi che sono distribuiti al netto delle tasse corrisposte dalla società che li paga)". Lo dice
Simone Strocchi, Presidente e Managing Partner di Electa Ventures, in merito all'aumento previsto dell'imposta dall'1,2% al 24% per tutte le imprese che incassano dividendi da società di cui detengono quote inferiori al 10%.
Un limite del genere sarebbe "
autolesionistico", afferma Strocchi, secondo cui la PEX "non è un privilegio: è uno strumento che evita la doppia tassazione degli utili già colpiti dall'imposta societaria al momento della distribuzione" e quindi "introdurre una soglia rigida di partecipazione minima significherebbe rendere meno conveniente detenere partecipazioni in società italiane, proprio nel momento in cui dovremmo incentivare il contrario".
Il Managing Partner di Electa Ventures fa notare che
nei principali Paesi europei, dove la disciplina è consolidata, la logica è esattamente opposta. In Lussemburgo, per esempio, la piena esenzione (al 100%, non al 95% come in Italia) si ottiene alternativamente se si detiene almeno il 10% del capitale oppure se l'investimento supera 1,2 milioni di euro. Due criteri alternativi, non cumulativi. Inserire in Italia solo la soglia del 10% "porterebbe inevitabilmente molte holding e veicoli d'investimento a cercare soluzioni all'estero, con il risultato di favorire l'esterovestizione e indebolire il presidio nazionale sui capitali produttivi", sostiene l'esperto di mercati finanziari. Inoltre, "se si intendesse introdurre anche un holding period minimo sui dividendi, occorre ricordare che in Lussemburgo i 12 mesi possono essere successivi alla percezione del dividendo, non precedenti: un'impostazione flessibile, pensata per non scoraggiare gli investimenti di lungo termine".
"L'
Italia non può permettersi di penalizzare la crescita di un capitale paziente e abilitante, proprio mentre ha urgente bisogno di favorire il ritorno delle holding familiari e industriali al sostegno delle imprese nazionali - afferma Strocchi - Nelle holding di famiglia italiane si concentrano centinaia di miliardi di euro: capitali che, se orientati verso partecipazioni stabili in aziende italiane, potrebbero rappresentare la più potente leva di sviluppo e di consolidamento della governance domestica. Al contrario, misure come quella prospettata vanno in direzione opposta. Mentre i listini italiani faticano a trattenere le società eccellenti e diventano spesso terreno di takeover stranieri, continuiamo a introdurre norme che scoraggiano la capitalizzazione interna e la redditività condivisa nel tempo. Sopratutto se vogliamo promuovere aggregazioni industriali, per creare campioni d'impresa, non possiamo penalizzare le diluizioni partecipative che ne derivano fisiologicamente".
"Ogni barriera fiscale che allontana i capitali italiani da investimenti costruttivi e durevoli è un
passo verso la deindustrializzazione e la perdita di sovranità economica e finanziaria, che è purtroppo un trend innegabilmente avviato nel nostro paese - sottolinea - L'integrazione di filiere e la costruzione di poli industriali richiedono cooperazione, non ostacoli fiscali. Serve un cambio di paradigma: smettere di leggere la fiscalità come uno strumento di breve cassa e iniziare a considerarla come politica industriale e patrimoniale di sistema. La PEX va difesa, non limitata".
Secondo Strocchi, "solo così potremo attrarre capitali nazionali verso le imprese italiane, rafforzare la nostra base industriale e riportare sul mercato interno la capacità di creare valore nel tempo. Abbiamo
bisogno di finanza abilitante, non di interventi punitivi che colpiscono chi ancora crede nell'Italia come luogo possibile per investire e crescere".