"Le principali criticità del sistema giudiziario italiano sono evidenti a tutti. Non si può certo affermare che la giustizia in Italia funzioni in modo soddisfacente. I tempi lunghissimi dei procedimenti sono già di per sé una forma di pena, con gravi ripercussioni personali, sociali e professionali. A ciò si aggiunge, spesso, un processo mediatico che si avvia ancor prima di quello giudiziario e che, soprattutto per i cosiddetti 'colletti bianchi', può rappresentare una condanna anticipata, con conseguenze profonde sulle relazioni sociali e familiari". È quanto ha affermato
Tommaso Miele, presidente aggiunto della Corte dei conti, nel corso del
Cnpr forum speciale, promosso dalla
Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da
Luigi Pagliuca, dedicato a
"Italia 2035, giustizia più veloce ed efficiente", nell'ambito dell'evento organizzato da "
Forbes Italia" e introdotto dal direttore
Alessandro Rossi, che si è svolto nella sala Trilussa della
Cassa di previdenza dei Geometri, che ha rieletto al vertice dell'ente
Diego Buono."Tutti devono essere uguali davanti alla legge, e una volta accertate le responsabilità, – ha proseguito
Miele – è giusto essere rigorosi. Tuttavia, il principio di non colpevolezza deve restare un caposaldo, principio che troppo spesso viene calpestato da una narrazione mediatica che distrugge la reputazione di una persona già a partire dall'avviso di garanzia. I tempi della giustizia sono una criticità strutturale, ma ciò che serve è anche una profonda rivoluzione culturale, capace di restituire umanità alla giustizia".
Sulla
riforma della giustizia si è espresso
Fulvio Baldi, sostituto procuratore in Corte di Cassazione. "La nuova riforma della giustizia non affronta concretamente i problemi esistenti. Si è ormai venuta a creare – ha detto Baldi – una contrapposizione rigida, un vero e proprio 'muro contro muro' tra magistratura e politica. Il dialogo si sta progressivamente indebolendo e, con esso, si rischia di perdere di vista gli obiettivi fondamentali del sistema giudiziario. Abbiamo bisogno di una riforma che punti con decisione a una maggiore efficienza, senza rinunciare a più ampie garanzie. Solo dall'incontro tra efficienza e garanzia può scaturire una giustizia di qualità. Purtroppo, ritengo che questa riforma non vada nella direzione giusta. La separazione delle carriere, per come al momento è scritta, in astratto non collide con i principi dell'obbligatorietà dell'azione penale e dell'autonomia e indipendenza della Magistratura. Il Pubblico Ministero, infatti, non viene sottoposto all'Esecutivo, né viene messa in discussione la terzietà del giudice rispetto alle parti. Tuttavia, il fine che questa riforma sembra perseguire non appare in grado di migliorare concretamente il servizio giustizia. Ciò di cui ha bisogno il cittadino è un pubblico ministero preparato, onesto, equilibrato e professionalmente competente. Su questo piano, la riforma non apporta alcun contributo significativo".
"Il nostro sistema-Paese è molto complesso, per cui – ha affermato
Franco Massi, segretario generale della Corte dei conti – è facile cedere alla tentazione di formulare giudizi tanto negativi quanto affrettati. C'è chi definisce la Pubblica Amministrazione 'la catena di trasmissione che traduce le regole di convivenza sociale, fissate dal decisore politico, in effetti concreti sui cittadini e sulle imprese'. È evidente che, se questa catena non funziona, le regole restano inapplicate o non producono impatti utili sul tessuto economico e sociale del Paese. In tale quadro, la Corte dei conti svolge un ruolo fondamentale: è una magistratura che, oltre a verificare la correttezza degli atti adottati o delle gestioni sviluppate, deve esercitare, se necessario, anche una funzione maieutica, indicando alla P.A. il miglior modo per utilizzare le risorse pubbliche affinché le norme si traducano in effetti positivi per la collettività. La Corte è chiamata a svolgere una funzione sindacatoria, verificando anche il rispetto delle indicazioni fornite. Laddove si riscontrino comportamenti difformi da parte di rappresentanti della pubblica amministrazione, la Corte ha la potestà di intervenire con strumenti risarcitori e sanzionatori, finalizzati a recuperare le risorse pubbliche sperperate e ad evitare l'impunità degli amministratori incapaci".
Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, ha sostenuto che "il Ministero è fortemente impegnato nel garantire una giustizia più rapida ed efficiente, migliorando la logistica senza mai intaccare le garanzie e i diritti dei cittadini. Stiamo rispettando – ha detto – gli obiettivi fissati dal PNRR e guardiamo con ottimismo al futuro: giustizia ed efficienza devono procedere insieme. Grazie all'Ufficio per il Processo abbiamo già compiuto importanti progressi, con il proposito di ridurre del 40% i tempi dei procedimenti civili e del 25% quelli penali. Un traguardo da raggiungere anche grazie al contributo dei giovani professionisti degli UPP, per i quali è previsto un piano di stabilizzazione, minimo, tra le 4.500 e le 5mila unità, con la disponibilità a cercare ogni soluzione per tutti gli incrementi possibili. Per affrontare, poi, il problema del sovraffollamento carcerario, sono previsti interventi mirati nell'edilizia penitenziaria, con l'ampliamento delle strutture esistenti e la ristrutturazione di quelle già operative. Importante tema è quello dei tossicodipendenti, per i quali soluzioni alternative al carcere sono di prossima realizzazione: 7-8 mila detenuti possono davvero cambiare la situazione".
Nel corso del dibattito, moderato da
Anna Maria Belforte, il punto di vista dei professionisti è stato espresso da
Eleonora Linda Lecchi, commercialista e revisore legale Odcec di Bergamo: "La Riforma della Giustizia in Italia non è uno strumento definitivamente risolutivo. La svolta si avrebbe con la riduzione dei carichi di processi e la revisione sotto certi aspetti della giustizia penale. Chi incappa incolpevolmente in essa, si ritrova sottoposto a un processo preventivo mediatico che è già di per sé una condanna".
"Le criticità della giustizia italiana – ha detto
Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale dell'Università Roma Tre – riguardano aspetti organizzativi interni, come la separazione delle carriere, oggetto di una proposta di riforma costituzionale, e problemi di efficienza. I cittadini chiedono sentenze rapide, giuste e rispettose del diritto di difesa. Occorre ridurre il contenzioso e il numero delle cause. In Italia si emettono milioni di sentenze ogni anno. Servono strumenti alternativi e tempi certi".
Le conclusioni sono state affidate a
Paolo Longoni, consigliere dell'Istituto nazionale Esperti contabili: "È necessario ridurre i tempi dei procedimenti e puntare sull'efficienza. In Italia pendono milioni di giudizi, civili e penali. Il Tribunale di Roma conta circa 150 mila cause civili; Napoli, Catania, Bari, Milano e Santa Maria Capua Vetere, ne registrano tra 50 e 100 mila. Serve un cambio culturale, strumenti alternativi e tempi certi, per ridurre le controversie prive di reale rilevanza".