I
livelli del debito pubblico statunitense sono saliti a
soglie preoccupanti, attirando una crescente attenzione da parte di economisti e decisori politici. Nonostante una consapevolezza diffusa a livello politico, le indicazioni attuali suggeriscono che
la spesa pubblica sarà mantenuta — se non leggermente aumentata — piuttosto che ridotta. Anche se gli Stati Uniti conservano ancora un rating di alta qualità sul debito sovrano, il crescente peso del debito potrebbe tradursi in un aumento dei premi per il rischio, con un conseguente rialzo dei costi di finanziamento. È quanto emerge dal contributo a cura di
Dane Smith, Head of North American Investment Strategy & Research di
State Street Global Advisors, che analizza la reazione dei mercati al recente downgrade del debito sovrano statunitense da parte di Moody's.
I mercati reagiscono con indifferenza a un downgrade già annunciatoLa scorsa settimana
Moody’s - evidenza Smith - ha
abbassato il rating del debito USA da AAA ad Aa1. Sebbene significativa, la decisione era ampiamente attesa e non ha colto di sorpresa i mercati. Altre agenzie di rating avevano già effettuato tagli simili in passato: S&P aveva declassato il debito statunitense nel 2011, seguita da Fitch nel 2023.
Nonostante il
downgrade, la reazione dei mercati è stata contenuta: il
rendimento del Treasury decennale è rimasto pressoché invariato, mentre l’indice S&P 500 ha registrato un lieve rialzo dello 0,09% nel primo giorno di contrattazioni successivo alla notizia. Questa reazione attenuata suggerisce che il downgrade era già stato prezzato dagli investitori. Tuttavia, l’evento continua a evidenziare le preoccupazioni legate all’elevato livello del debito e alle sue potenziali implicazioni sui premi a termine lungo tutta la curva dei rendimenti. Il debito statunitense resta elevato, attestandosi
intorno al 120% del PIL — un chiaro promemoria delle sfide fiscali che il Paese si trova ad affrontare.
Una differenza fondamentale rispetto agli anni 2010 è il
livello più elevato dei tassi di interesse. Il costo di finanziamento del debito sta salendo, aggiungendo ulteriore complessità allo scenario fiscale. Sebbene
la nuova legge di bilancio sia ancora in fase di definizione, le prime indicazioni suggeriscono che la riduzione del debito non è una priorità, e che i livelli di indebitamento resteranno alti.
La pressione al rialzo sui rendimenti ha implicazioni significative per gli asset allocator nel lungo periodo.
Rendimenti più alti rendono le obbligazioni più interessanti rispetto alle azioni, potenzialmente modificando l’equilibrio all’interno dei portafogli d’investimento. Allo stesso tempo, tassi più elevati significano anche maggiori costi per il finanziamento delle attività aziendali, con un impatto negativo sugli utili societari e una pressione su azioni e spread del credito corporate.
Inoltre, - continua il contributo - il comportamento congiunto di azioni e obbligazioni — che negli ultimi vent’anni ha mostrato una correlazione negativa — tende a
venire meno con rendimenti più elevati. Questa correlazione negativa è un pilastro di molte strategie di allocazione degli asset, soprattutto nei periodi di volatilità. Se i tassi di interesse dovessero restare alti, la tenuta di questa relazione verrebbe meno, rendendo ancora più importante il ruolo di strumenti diversificanti alternativi.
Nel complesso, riteniamo ancora probabile un calo dei tassi nel medio-lungo termine. Tuttavia,
non sottovalutiamo l’impatto dell’elevato livello del debito e dei deficit fiscali persistenti. Questi fattori influenzeranno inevitabilmente lo scenario macroeconomico e le decisioni d’investimento.
Sebbene i mercati abbiano reagito con calma al recente downgrade, l’evento è un ulteriore promemoria delle difficoltà fiscali in corso e delle possibili conseguenze per gli investitori.
Livelli di debito elevati, tassi di interesse in rialzo e il cambiamento delle dinamiche tra azioni e obbligazioni sono tutti elementi da considerare attentamente nel definire strategie d’investimento di lungo periodo.
(Foto: by Rabih Shasha on Unsplash)