Il
Made in Italy agroalimentare è uno dei settori merceologici che potrebbe rischiare uno degli impatti maggiori con l'entrata in vigore dei dazi di americani voluti dall'
amministrazione Trump. La sola minaccia dei dazi ha infatti spinto l'aumento dell'inflazione per il settore food, che ha toccato il
2.8% in aprile, dopo aver toccato il
dato record del 3% a marzo (contro un'inflazione media del 2.3%, fonte:trending economics).
Il posizionamento dei prodotti italiani nel mercato americano è però di
fascia medio alta, e secondo un recente studio di TEHA questo potrebbe tradursi in una
domanda anelastica, quindi non influenzata dal prezzo, e di fatto
non influenzata dai dazi. Secondo The European House Ambrosetti infatti, l'eventuale applicazione di dazi al 20% al comparto agroalimentare italiano, le cui
esportazioni verso gli USA valgono
67.5 mld, potrebbe portare danni per 1.6 miliardi di euro, anche se la
perdita potenziale potrebbe fermarsi a
1,3 miliardi, costituendo di fatto un danno decisamente contenuto. I dati derivano in parte dalla capacità delle aziende di assorbire un 25% degli aumenti riducendo i margini, ma soprattutto dal fatto che il
77% dei beni esportati, secondo Teha,
non sono sostituibili, come il vino, i numerosi prodotti DOP e IGP, tutto il comparto dei formaggi "duri" e molti altri.
Questo "cauto ottimismo" rappresentato dai dati si scontra però con una inflazione sugli alimenti negli stati uniti particolarmente alta, che potrebbe rischiare di contrarre i consumi di tutto il mercato e non solo quello di importazione. Secondo la National Grocers Association, l'associazione nazionale di categoria che rappresenta i dettaglianti alimentari indipendenti degli Stati Uniti e i grossisti che li riforniscono, i
dazi in combinazione con i
problemi di produzione interna (come ad esempio l'aumento delle uova e dei prodotti avicoli determinato dall'influenza aviaria), rischiano di creare una
tempesta perfetta che andrebbe ad influenzare e contrarre tutto il settore, incluso lusso ed importazione.
In questo scenario il sentimento delle aziende europee protagoniste del Made in Italy è vigile,
non pessimista ma comunque preoccupato, come testimoniato da Mauro Frantellizzi, General Manager di Lactalis Italia, azienda francese che commercializza ed esporta numerosi brand italiani (tra cui Galbani, Locatelli, Parmalat ed altri): "Oggi esistono già dei dazi, come sapete, su tutte le eccellenze italiane, in particolare nel mondo dei DOP. Il fatto che questi
'superdazi' possano portare a scaffale il prodotto ad essere molto caro, ovviamente ci preoccupa molto. Tutte le esportazioni di formaggi italiani fuori dal continente hanno già un rincaro dovuto al trasporto, che si somma a quello voluto dai dazi. Quindi è chiaro che il prezzo finale è di
fascia premium, e se oggi è sostenibile, non sappiamo se al momento in cui entreranno in vigore i nuovi dazi, resterà accessibile per il consumatore attuale, e quanto le vendite potranno calare. Questo è il vero timore che abbiamo".
Anche per le aziende che realizzano
prodotti B2B è importante valutare la situazione con attenzione, soprattutto alla luce di un marcato
aumento dei prezzi del fuori-casa (3,9% ad aprile contro 3,8% di marzo). E' questa la sensazione testimoniata da Gaia Rasparini, Export Manager di Steriltom, azienda piacentina leader nella produzione di conserve di pomodoro per la pizzeria e la ristorazione professinale: "Quello americano rappresenta un'importante fetta di mercato, un mercato al di là di tutto in cui la nostra azienda sta investendo molto, quindi questa rappresenta per noi una
fase di incertezza. Stiamo cercando di capire quali strategie adottare per poter operare al meglio, in collaborazione con i nostri clienti americani, cercando di percepire il loro feeling anche in questa situazione di mercato". Più incisivo è invece il parere di Alessandro Squeri, Direttore Generale di Steriltom: "La verità è che non si può fare a meno degli Stati Uniti, cioè non possiamo pensare di andare in Cina per compensare gli Stati Uniti".
Se il made in Italy quindi ha uno
scudo rappresentato da un
alto posizionamento di mercato, questa protezione non vale in generale per tutti I produttori europei. In particolare per le aziende che producono prodotti di qualità che competono direttamente con la
tradizione americana, la situazione è ancora più preoccupante, come testimonia Daniele Moggia, Trade Marketing and Business Development Manager di Danish Crown Foods, azienda danese specializzata nella carne in conserva e nella carne lavorata (come bacon, wurstel, salsicce e altri precotti): "Noi che siamo una cooperativa di allevatori danesi abbiamo visto di recente già
alcune difficoltà, soprattutto sui prodotti che noi esportiamo verso gli Stati Uniti, come la carne in scatola, dove abbiamo già visto alcuni clienti tirarsi indietro rispetto agli ordini usuali, ma anche una generale tendenza all'attendismo su un mercato in cui
tanti clienti aspettano di vedere cosa succederà, e nel frattempo
esauriscono gli stock o
riducono gli ordini, in modo da tenersi pronti a un eventuale cambiamento. È una situazione che cerchiamo di gestire proattivamente per quanto è possibile, ma chiaramente al momento, come dicono in tanti,
il fenomeno sta già avendo un impatto sia sulla spesa del consumatore americano, sia sulle aziende che fanno regolarmente business verso gli Stati Uniti". In altre parole, la minaccia dei dazi ha già fatto salire i prezzi non solo dei prodotti di importazione, ma di tutto il settore alimentare (come appunto testimoniato dai dati relativi all'inflazione).
Altro caso emblematico è quello dei
semilavorati: esistono infatti aziende che producono in Italia ma esportano prodotti che vengono preparati per la vendita direttamente negli Stati Uniti. Se i dazi dovessero rappresentare una penalizzazione eccessiva per questo business, l'effetto collaterale sarebbe rappresentato dalla
contrazione degli investimenti sul
suolo americano, e subito dopo dalla
perdita di posti di lavoro americani. Questo fenomeno sta preoccupando direttamente un'importante azienda di produzione di insaccati come Levoni, storica azienda italiana specializzata nella produzione di salumi di alta qualità fondata nel 1911 nel mantovano, oggi alla quarta generazione e guidata dal presidente Nicola Levoni: "Abbiamo investito molto per creare degli stabilimenti direttamente negli stati uniti. Queste attività ovviamente hanno creato posti di lavoro, hanno stimolato investimenti anche in altre aziende sul territorio americano e hanno permesso di portare del
know-how sul territorio americano. Ovviamente questa attività, se sarà gravata da un 10 o un 25% di dazi, non sarà certamente facilitata ad
entrare e resistere sul mercato, e soprattutto non crea quella spinta per le tante aziende che erano ancora indecise se iniziare o continuare ad investire. In questo senso
i dazi fanno perdere molto di questo
entusiasmo".
Se quindi il settore non è pervaso dal pessimismo ma è comunque caratterizzato da una vigile attesa, i protagonisti del made in Italy sono comunque attenti anche ad
altri mercati, che potrebbero diventare uno dei nuovi mercati di riferimento per l'export, come ha specificato Mauro Frantellizzi: "Guardiamo con attenzione anche molti altri territori che oggi promettono delle crescite importanti: alcuni già nel 2024 hanno fatto vedere una crescita interessante come la
Cina, l'Arabia Saudita, lo stesso
est europeo che è cresciuto a doppia cifra, e che sono quindi dei mercati che oggi rappresentano e stanno mostrando delle
crescite interessanti per le nostre eccellenze italiane". Per Milvia Panico, Direttrice Marketing di Trevalli Cooperlat, azienda casearia che si è specializzata nelle creme vegetali alternative ai latticini, e che esporta principalmente in Asia ed Est Europa, la minaccia dei dazi è invece un motivo sufficiente per
frenare l'espansione oltre oceano: "Per noi l'
export è molto importante, soprattutto per quanto riguarda i prodotti a
base vegetale; ci siamo focalizzati prevalentemente in questi anni nel sud-est asiatico e nell'est Europa. Pensiamo che ci possano essere opportunità anche negli Stati Uniti, ma questa politica dei dazi allo stato attuale potrebbe compromettere un ulteriore sviluppo dell'azienda verso questi mercati".
(Foto: Espositore di salumi italiani dedicati al mercato americano)