Gli
Stati Uniti rappresentano
uno dei principali mercati di sbocco per le esportazioni di beni delle imprese italiane, con un valore complessivo di 60 miliardi di euro nel 2024 (pari al 10,4 per cento del totale). Lo afferma la Banca d'Italia in un riquadro del suo
ultimo Bollettino economico, sottolineando che è necessario
considerare anche l'esposizione indiretta, che tiene conto del fatto che i prodotti che gli altri paesi esportano verso gli Stati Uniti possono utilizzare come input beni intermedi prodotti nel nostro paese.
Inoltre, è importante identificare il
valore aggiunto creato in Italia, al netto di quello dei beni intermedi importati. In base alle analisi di Banca d'Italia, l'8,1 per cento del valore aggiunto della manifattura italiana - circa l'1,2 per cento del PIL - giunge negli Stati Uniti (il 6,4 per cento per via diretta). I comparti più esposti sono quello della farmaceutica e quello degli altri mezzi di trasporto (che includono la cantieristica e l'industria aerospaziale). La componente indiretta ha generalmente un peso limitato, tranne che nella farmaceutica.
Nonostante la significativa esposizione del sistema produttivo italiano al mercato statunitense,
alcuni aspetti strutturali possono attenuare nel breve periodo l'impatto diretto dei dazi. Innanzitutto, anche se gli Stati Uniti costituiscono un mercato diretto di destinazione per quasi un terzo delle aziende esportatrici italiane, poco più della metà delle vendite verso questo paese è realizzata da imprese di grande dimensione (con almeno 250 addetti), caratterizzate da una più alta diversificazione produttiva.
Inoltre l'
impatto diretto dei dazi sulle vendite delle imprese italiane dipenderà principalmente da
due fattori: la misura in cui consumatori e imprese statunitensi sostituiranno beni finali e intermedi italiani con prodotti domestici o di altri paesi; la capacità delle imprese italiane di contenere l'aumento dei prezzi dei beni venduti mediante una riduzione dei margini di profitto.
Riguardo al primo fattore, "la natura multilaterale dei dazi imposti dall'amministrazione degli Stati Uniti
limita sensibilmente le possibilità di sostituzione dei prodotti italiani con quelli di paesi nostri concorrenti, in quanto questi ultimi sono in larga parte soggetti a dazi uguali o superiori". Banca d'Italia stima che le esportazioni di beni verso gli Stati Uniti siano costituite da prodotti di qualità alta per il 43 per cento e media per il 49 per cento. Nel confronto con i principali paesi della UE, la composizione per qualità delle esportazioni italiane è lievemente inferiore solo a quella di Francia e Germania; altri paesi dell'OCSE, come Giappone, Corea del Sud e Messico, e alcune economie emergenti come Cina e Vietnam presentano invece una maggiore incidenza di prodotti di fascia media e bassa. "L'
elevata qualità delle esportazioni italiane - verosimilmente orientate verso acquirenti ad alto reddito e imprese leader nei loro rispettivi settori - ne rende la domanda meno reattiva al prezzo", viene sottolineato.
Con riferimento al secondo fattore, le imprese italiane potrebbero limitare il potenziale calo della domanda statunitense
assorbendo parte dell'aumento dei prezzi causato dai dazi attraverso una riduzione dei propri margini di profitto. Per le imprese manifatturiere italiane che esportano negli Stati Uniti l'incidenza delle vendite su questo mercato è in media pari al 5,5 per cento del fatturato totale, mentre il margine operativo lordo è in media pari al 10 per cento del fatturato. Anche considerando l'intera distribuzione dei margini di tali imprese, si osserva che essi sono relativamente elevati: per tre quarti delle aziende sono superiori al 5 per cento. Secondo le simulazioni di Banca d'Italia, la flessione delle vendite sul mercato statunitense che deriverebbe da un rialzo dei prezzi coerente con i dazi, comporterebbe in media un calo del fatturato totale di circa un punto percentuale. Il margine operativo lordo, valutato in rapporto ai ricavi, si ridurrebbe al massimo di mezzo punto percentuale per tre quarti delle imprese. Il numero di aziende che passerebbe da margini positivi a negativi è esiguo e la quota di esportatori con perdite elevate aumenterebbe di 4 punti percentuali. Il deterioramento riguarderebbe prevalentemente quelli di piccola dimensione.
Nel complesso, "l'
esposizione degli esportatori italiani al mercato statunitense è significativa, ma la composizione settoriale, il posizionamento qualitativo e la buona profittabilità delle imprese
potrebbero attenuare le ricadute dirette più sfavorevoli dell'inasprimento dei dazi, almeno nel breve periodo - si legge nelle conclusioni - Tuttavia alcune imprese con una maggiore dipendenza dal mercato statunitense e con margini di profitto più ridotti potrebbero subire effetti rilevanti. Conseguenze più gravi potrebbero emergere in caso di forti ricadute dell'inasprimento delle restrizioni commerciali sulla domanda globale e sui mercati finanziari".
(Foto: CHUTTERSNAP on Unsplash)